Metti una sera un libro e una piazzetta…quando il Comune riesce con poco a fare molto

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Da sinistra: Fiorita, Dara e De Nardo
Da sinistra: Fiorita, Dara e De Nardo

Operazione riuscita anche al secondo appuntamento di “Destate emozioni” per Emanuele Amoruso, consigliere delegato alla Cultura del Comune che ha scommesso sulla letteratura e sulla valorizzazione della piazzetta storica sul Corso. Ed evidentemente ha azzeccato la formula. Anche ieri piazza Matteotti si è riempita di spettatori di ogni età per assistere alla presentazione del libro Ti ho vista che ridevi del collettivo di scrittori catanzaresi Lou Palanca. Un incontro moderato da un altro scrittore, Domenico Dara, cresciuto a Girifalco dove ha ambientato il suo Breve trattato sulle coincidenze che per molti è stato il “romanzo dell’estate” 2014. A dialogare con Dara due dei cinque scrittori del collettivo Lou Palanca: Nicola Fiorita, docente universitario e presidente Slow Food Calabria, e Valerio De Nardo, dirigente pubblico catanzarese trapiantato nel Lazio. A dir la verità c’era anche una terza scrittrice del gruppo, Maura Ranieri, ricercatrice di diritto del lavoro alla Umg, in piazza e non sul palco per accudire i bimbi e permettere agli altri due di presentare il libro.

“Dietro il successo delle langhe c’è il sangue delle donne calabresi”. Questa la frase che “ci ha talmente colpito da capire che volevamo indagare e raccontare una storia”, ha rivelato Fiorita al pubblico. La terra del Barolo, del tartufo, del successo made in Piemonte cosa ha a che fare con il sacrificio delle calabresi? “E’ stato lo storico e antropologo Nuto Revelli a salvare la storia delle “calabrotte”, raccontando quegli anni ’60 di boom economico in cui le langarole non volevano più sposare i contadini – ha spiegato Fiorita – ma volevano gli operai in città, il benessere, il frigo, la macchina, lo stipendio fisso”. Ed è così che i contadini delle Langhe, non trovando più moglie, pensarono di rimediare “comprando” mogli calabresi attraverso la figura dei bacialè, gli antichi ruffiani che fiutarono l’affare e che, persone sveglie, furbe e spesso a cavallo tra i due mondi, quello calabrese e quello piemontese, giravano i paesini della Calabria, trovavano le spose e combinavano i matrimoni con “pacchetti tutto compreso”. “Storie di sofferenza, di emigrazione forzata, perché queste donne si trovavano in una condizione di povertà tale da accettare lo sradicamento e il ritrovarsi in un ambiente molto diverso, in un mondo spesso più subito che scelto”, è il racconto di Fiorita.

Questa l’ambientazione del romanzo, che parte da Riace e si chiude a Riace per una ragione ben precisa: “La forzata partenza per un’altra vita la possiamo ritrovare oggi nelle donne siriane, palestinesi, africane che arrivano in cerca di un destino migliore. E Riace è l’unico esempio di accoglienza che, nel salvare gli immigrati, salva anche noi stessi, come disse il sindaco che individuò nei bimbi degli immigrati l’unico modo per ripopolare la scuola del paese e non farla chiudere”, ha osservato Fiorita. Salvare loro può salvare noi stessi, esattamente come avvenne per le calabrotte cinquant’anni fa. L’incontro con l’altro può essere una salvezza. Questo il senso della narrazione di Lou Palanca, che inserisce la sua trama all’interno di una storia ben più grande e universale, ma sempre ancorata ai temi “della terra, dei territori e alla donna – come ha sottolineato De Nardo – per chiudersi alla fine con una speranza”.

Teresa Pittelli

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