Catia, in coma dopo cesareo: per sottosegretario alla salute “tutto regolare”. Ma per i deputati M5S e Lega i dubbi restano.

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Lorenzin
Foto Oreste Montebello

Una risposta spiazzante e quasi surreale da parte del governo al caso della giovane mamma di Soverato, Caterina Viscomi, in coma da oltre due anni in seguito al parto cesareo del suo primo bimbo avvenuto all’ospedale Pugliese-Ciaccio di Catanzaro. Rispondendo martedì scorso, 19 luglio, alle interrogazioni parlamentari sul caso di presunta malasanità avanzate dai deputati Barbara Saltamartini (Lega Nord) e Andrea Colletti (M5S), il sottosegretario alla salute Vito De Filippo ha offerto una ricostruzione medico-burocratica di quanto accadde in quella tragica notte tra il 6 e il 7 maggio 2014. Per poi concludere, sulla base della relazione della prefettura di Catanzaro, che non si sarebbero riscontrate inefficienze medico-aziendali che abbiano inciso sul dramma di quella notte, che ha condotto una brillante oncologa, felice di partorire il suo primo figlio, in uno stato di coma irreversibile in cui si trova tuttora (vedi il video dell’aula).

Dopo una breve disamina sui fatti, che cominciano la sera del 6 maggio con il ricovero in travaglio di Caterina Viscomi al Pugliese, per finire alcune ore dopo distesa sul letto di sala operatoria, avendo acconsentito al taglio cesareo per mancata progressione, la relazione del sottosegretario si sofferma sui trattamenti prestati a Catia al momento in cui si capisce che è andata in debito di ossigeno e nei giorni seguenti, quando giace in rianimazione. Il documento fa riferimento tra l’altro a “immediato massaggio cardiaco con farmaci idonei, supporto della rianimazione che ha assistito la paziente, esami ematochimici, visita cardiologica, ecocardiografia, color-doppler, ecg, tac celebrale”, senza riuscire però a spiegare le gravi lesioni celebrali dovute alla mancanza di ossigeno (ipossia) durante l’operazione, come indicano ctu e ctp nel processo penale in atto, processo sul quale la risposta del sottosegretario sorvola completamente.

De Filippo riferisce quindi delle due riunioni della commissione voluta dalla direzione medica, in data 8 maggio e 13 giugno, per accertare se qualche inefficienza nell’organizzazione aziendale abbia inciso sul caso, concludendo che non sono state evidenziate inefficienze organizzative o inerenti le apparecchiature. Eppure si decise però di sospendere l’anestesista Loredana Mazzei per tre mesi dal servizio, assegnandole un “tutor” per le sedute in sala operatoria, come da linee guida. E se le responsabilità dell’anestesista Mazzei, da settembre giudicata priva di problemi psicologici e psichiatrici e rimessa in servizio ma poi improvvisamente deceduta nel febbraio 2015, sono state riconosciute dal pm Debora Rizzo e dai suoi consulenti, che parlano di colpa grave, negligenza e imperizia in quella seduta operatoria, nella risposta del governo non compaiono. Anzi. La Mazzei, che il primario del Bambin Gesù Fabrizio Gennari aveva chiesto di rimuovere dall’incarico per comportamenti anomali (ma anche di questa lettera non v’è traccia nella relazione), viene semplicemente descritta come “professionista ineccepibile come tutti sottoposta a notevole stress lavorativo”.

Il sottosegretario conclude citando infine i protocolli di sicurezza adottati dal Pugliese-Ciaccio per l’anestesia e la rianimazione, informatizzati e all’avanguardia. Riferimenti generali forse però non esaustivi per spiegare i dubbi e le incongruenze sul caso di Catia. Dubbi e incongruenze rilevati sia da Saltamartini che da Colletti nelle loro repliche. “”Ci sono varie contraddizioni in questa versione: è vero o no che quella notte gli allarmi del monitor di sala operatoria vennero abbassati? E che il respiratore venne messo in modalità manuale anziché automatico? Perché non si parla della richiesta di rimuovere la Mazzei dalle sedute di sala operatoria pediatriche da parte del primario del Bambin Gesù già il 14 novembre 2012, ben due anni prima del tragico parto di Caterina Viscomi? Perché se la Mazzei non aveva alcun problema fu sospesa dal servizio e le fu assegnato un tutor, tutor che a noi risulta quella notte non fosse accanto a lei?”, sono alcune delle domande poste da Saltamartini e rimaste senza risposta. “Io credo che la famiglia della Viscomi e il piccolo bimbo che ormai ha due anni abbiano diritto alla verità – ha concluso la deputata leghista – e che in quelle circostanze l’ospedale non abbia reso il servizio migliore che andava assicurato”.

Colletti ha invece chiesto “come mai il sottosegretario si presenti con una relazione prefettizia e nessuna risposta ufficiale dell’asl, come mai non faccia cenno all’indagine penale in cui il gip ha rigettato la richiesta di archiviazione e disposto la prosecuzione delle indagini per accertare l’esistenza di eventuali responsabilità mediche e dirigenziali nel non aver impedito che accadesse questo dramma familiare”. Arrivando a parlare persino di “omertà”, Colletti si è chiesto “perché non si vogliano dare risposte a questa famiglia”, augurandosi che “le prime verità storiche e processuali arrivino ora dal pubblico ministero che sta per concludere le indagini”. Indagini per le quali si è concluso lo scorso 11 luglio il termine: si attendono dunque a breve eventuali sviluppi processuali sul caso, caso che ha scosso l’opinione pubblica con numerosi servizi giornalistici dedicati da tv e testate nazionali, oltre alla mobilitazione della comunità soveratese che nel novembre scorso ha organizzato, per non dimenticare Catia e la sua famiglia, una fiaccolata per le vie del paese e terminata in parrocchia.

Teresa Pittelli

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