“Non possiamo solo sopravvivere”. Quell’omelia in memoria di Alessandro Bozzo che interroga il nostro mestiere

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Comincio la sezione intitolata “Giornalismi di provincia” con la bellissima omelia del sacerdote che ha officiato la messa funebre in morte di Alessandro Bozzo, bravissimo collega di CalabriaOra scomparso poco più di un mese fa, e che ho conosciuto attraverso i suoi articoli e i racconti dei tanti che conservano tutti ricordi intensi di lui: burbero, severo, incazzoso e preciso sul lavoro e nel formare i ragazzi e i collaboratori come solo un giornalista di razza sa essere. Ma tenero, sensibile, attento alle cose piccole come un passerotto che aveva trovato ferito per strada e portato in redazione, ai tempi de La Provincia Cosentina, curato e nutrito. Ad Alessandro, giornalista serio che ogni giorno ha affrontato le difficoltà e le mortificazioni imposte spesso -qui più che altrove – a chi cerca di fare questo mestiere conservando obiettività e indipendenza, professionalità e curiosità, dedico l’incipit di questo blog che tenterà di raccontare questa terra attraverso le storie e le notizie. Ciao Ale.

“Vae victis”? – In memoria di Alessandro Bozzo.

Vorrei poter dire ad Alessandro che capisco cosa significhi non voler vivere, ma voler morire è un’altra cosa. Non lo giudico, non posso e non voglio. Vedo però che come tutti gli uomini anche lui viveva le sue contraddizioni interiori, in qualche occasione si è dichiarato ateo salvo però spiegare a sua figlia che quando si muore si va in cielo, dichiarare di non pregare la madonna ma nella necessità di rivolgersi ai cari defunti, essere considerato da tutti un capo carismatico e professionale ma al contempo così fragile. Le cito queste contraddizioni perché so che il Dio di misericordia non ama solo ciò che c’è di buono in noi, ma in ciascuna delle tensioni interiori che percuotono il nostro animo trova il modo per amarci. Quindi non siamo qui per condannarlo, ma per consegnarlo anche alla più piccola briciola di misericordia che cade dalla mensa del cielo.

Siccome nessuno di noi qui può dirsi più forte di Alessandro, provando a dare un senso a questa storia proviamo anche a imparare a sopravvivere.

Sono sicuro che non ci permetteranno di sopravvivere le armi, soprattutto se ancora avremo come nemico qualche parte di noi che consideriamo un limite o una sconfitta, finché c’è qualcuno nel mondo da poter considerare un nemico.

Sopravviveremo mai a una società che ancora non riesce a premiare il lavoro professionale? Sopravviveremo all’era della comunicazione con le migliori professionalità del settore nella piaga sociale del precariato?

Sopravviveremo a questa cultura che pervade anche e soprattutto la cosiddetta Cosenza bene per cui “il tempo buono è quello consumato”, “la vita buona è quando sei strafatto”, “sei al top quando ti ergi sugli altri a discapito di tutto e tutti”?

Ma noi non dobbiamo solo sopravvivere, dobbiamo vivere e farlo bene. Qui c’è la proposta del vangelo per ciascuno di noi. La vita buona del vangelo è quella donata gratuitamente, è di chi si lega con fedeltà alle promesse che prima di tutto vengono da Dio, non solo dalle nostre voglie. Il nostro primato non sarà più nel non avere limiti, ma nel varcarli nella condivisione e nella fraternità umana. La società non potrà più essere il luogo della prevaricazione, ma il luogo dove si scopre che il guadagno per ciascuno è il bene per tutti.

Non possiamo più permetterci di vivere in una società in cui vige come legge la locuzione “guai ai vinti”, perciò questi che piangiamo sinceramente la triste scomparsa di Alessandro, proviamo a usare il dolore come forza per il riscatto di un mondo migliore, vivibile e buono per tutti.